L’agnello
Chi siamo > Archivio > Teatrografia
Crest – Teatri Abitati
L’agnello
testo Francesco Ghiaccio, regia Gaetano Colella, con Catia Caramia, Gaetano Colella, Anna Maria De Giorgio, Roberto Marinelli, Damiano Nirchio, spazio scenico e disegno luci Michelangelo Campanale, elementi scenici Pancrazio De Padova, costumi Cristina Bari, cura del movimento Maristella Tanzi, datore luci Vito Marra, foto di scena Lorenzo Palazzo
Un agnello, chiuso in una stalla: non vede l’ora di essere sacrificato. E’ il suo destino, lo sa e ne è contento. Ogni essere vivente ha un destino, il suo è di essere sacrificato a Dio. Ma nella stalla in cui vive si manifestano strane ombre, visioni di un mondo sconosciuto sembrano volergli comunicare qualcosa. Dapprima incuriosito e poi via via più turbato, l’agnello percepisce che queste ombre vogliono dissuaderlo dal compiere il gesto da lui tanto desiderato. Le visioni, sempre più nitide, sono uomini e donne che, nel sacrificarsi a Dio, hanno perduto tutto, ricavandone unicamente disperazione e morte. La gioiosa determinazione dell’agnello lascia il posto all’indecisione. La vittima, per la prima volta, mette in dubbio il suo destino, s’interroga sul senso che potrebbe avere la sua vita senza il sacrificio. Soprattutto si spinge fino alla domanda che lo tormenta: “Chi mi ha convinto che il sacrificio era per me l’unica via?”.
“Perché proprio le figure del sacro? Perché loro si sono confrontate quotidianamente con il sacrificio e in nome di tale ordine hanno speso la propria esistenza. La nostra cultura ci ha insegnato a leggere in chiave positiva questo sacrificio, ma se lo vedessimo in chiave opposta? Se, ad esempio, le esistenze di Maria o di Noè non fossero state esaltate ma distrutte, condotte irrimediabilmente verso il fallimento? Ecco allora che il sacro può essere riletto e figure a tutti note come quelle di Caino, Giuda, Lazzaro, Maddalena, Noè, Maria, Abramo vengono a narrarci le loro particolari vicende sotto una nuova luce. Tutte le storie che si materializzano nella stalla finiranno per fare cambiare idea all’agnello. Lo scopo dell’esistenza non sta nell’immolarsi a un dio assetato di sacrifici ma nel percorrere fino in fondo la strada verso la consapevolezza di sé e della propria solitudine. E’ questo il destino dell’uomo d’oggi, forse più amaro dello spargimento di sangue sacrificale. L’incomunicabilità ci rende veramente intoccabili, sacri. E soli.
Quale linguaggio, oggi che non è più il conflitto ma la fine della relazione – l’assenza di conflitto – la fonte del dolore, quali modi per dire ciò che non si può dire. A che cosa serve seguire il proprio destino, costruirsi un punto di vista, mai definitivo ma che sia almeno misura dell’esperienza, se non lo puoi comunicare a qualcuno? Non più l’amore e l’odio ma la dispersione, la diaspora, la complessità sono la cifra del nostro tempo. Con tutto questo deve fare i conti il teatro, rinnegarsi, diventare fumo, evaporare per dare a noi, al senso, la possibilità di precipitare in un cristallo dal barbaglio amaro, alla fine”. [Gaetano Colella]
[…] Il centro è il sacrifico, di un agnello che china la testa al carnefice, con flash in una storia millenaria di soprusi, omicidi, violenze, da Caino a Noè, da Isacco al Cristo, pianto da Maria, vagheggiato con danza di fuoco dal dolore della Maddalena. I testi sono contrappunto esplicativo, perfino didascalico, a un impianto di immagini ambizioso, che non è più quello della piccola compagnia: dietro un velatino che avvolge tutto nella nebbia, vari fondali, realizzati con materiali semplici, evocano foreste pietrificate, tronchi scarniti, crepacci argillosi, mari ghiacciati e altri scenari di un’anima ferita, avvilita. Il livello simbolico a volte diventa prevalente; altre volte ci si lascia trasportare da immagini e colori, o da movenze di danza che sembrano datate primo Novecento […]
Massimo Marino_Controscene
[…] In un certo equilibrio fra possenti soluzioni visive e un’articolata ricerca testuale, l’interrogazione sulla propria predestinazione e sul proprio ruolo – quello appunto di un animale condannato al sacrificio – sembra diventare talmente pressante da risultare incontenibile. E infatti gli inquietanti giochi d’ombra di questo spettacolo complesso e raffinato, costruiti da una sapiente e meticolosa magia d’artigianato teatrale, si mutano presto in riverberi e cangianze destinati a ingoiare progressivamente ogni cosa, fuoriuscendo prima dalle suggestive sezioni di tulle con cui è diviso il palco e poi dalla scena stessa fino a raggiungere la platea […]
Roberta Ferraresi_Il Tamburo di Kattrin
[…] Uno spettacolo singolare che sembra segnare per Colella una svolta necessaria e fondata su motivazioni profonde. Il regista e interprete […] apparentemente sorprende, ma in realtà crediamo che abbia trovato una propria linea, un proprio segno da sviluppare e approfondire. Una produzione di notevole impegno incentrata sul fascino nervoso delle immagini, che non teme di affrontare un tema come quello della vittima sacrificale mantenendo sempre credibile la tensione – cosa non facile – e cercando di sviluppare un racconto che sembra affidarsi al gioco di diversi linguaggi scenici in una progressione che si sviluppa in orizzontale, in una continua alternanza di momenti caldi e freddi. […] ha il segno forte di una scelta coraggiosa, di un percorso piene di sorprese […]
Nicola Viesti_Corriere del Mezzogiorno
[…] Un agnello attende che il proprio destino si compia, una corda al collo, una ciotola per l’acqua e la convinzione, che è quasi una preghiera della certezza, di essere nato per morire “al posto di”. […] Poi la rivelazione, ad innestare il dubbio. […] e, quando, con un sorriso di bambino decide per la vita, il botto arresta il suo cuore e il nostro respiro. È il massacro che si perpetua, egregiamente restituito dagli attori del Crest, diretti ed accompagnati da Gaetano Colella. Il suo impegno è quello di un autentico uomo di teatro, e commuove il modo in cui sulla scena modella la sua fisicità dentro ciò che fa. La modella in modo quasi sacrale […]
Paola Teresa Grassi_Krapp’s Last Post