Pasqua d’Autore 2025 | mostra fotografica virtuale di Enrico Scuro

Settimana Santa. Le processioni dell’Addolorata e dei Misteri.
Taranto 1975
di Enrico Scuro | mostra fotografica virtuale, 51 immagini in bianco e nero, slideshow, 9’50” (*)

Momento identitario della città. Parlare dei riti della Settimana Santa tarantina è compito assai arduo. Quasi tutto sembra già scritto, già detto, già vissuto, già teletrasmesso.
Cinquanta anni fa. Da Bologna, un gruppo di universitari (Stefano Barnaba, Francesco Conversano, Massimo Marino ed Enrico Scuro), tutti pugliesi, scende a Taranto per documentare i riti popolari della Passione. Filma la domenica delle Palme le aste (“gare”, per i confratelli, per l’aggiudicazione dei simboli delle due processioni cittadine), il giovedì e il venerdì santo le processioni dell’Addolorata e dei Misteri. Nel marzo 2005, per la sezione dedicata ai documentari, categoria professionisti, il corto “I riti della settimana santa a Taranto” ottiene una menzione speciale dalla giuria, presieduta dal critico Morando Morandini, della prima edizione del concorso cinematografico nazionale “Premio Taranto Cinema”, promosso dall’assessorato comunale al marketing territoriale e politiche del lavoro. Nel 2007 Enrico Scuro, fotografo degli anni Settanta, tarantino di nascita, digitalizza e mette online il suo archivio fotografico tirandolo fuori da un oblio di oltre venti anni. Tra gli innumerevoli scatti, anche il portfolio “La Taranto degli anni ‘70”, contenente tra le altre le immagini di una Taranto immersa nelle celebrazioni accanto ai “perdoni”, pubblicate per gentile concessione dell’autore.

Auguri di una serena Pasqua dalla cooperativa teatrale Crest.

 

(*) contenuto multimediale della rassegna online “Pasqua d’Autore”, parte dei progetti #iorivedoilcrest (archivio fotografico) e #comequandofuoripiove (cartellone virtuale), ideati e coordinati dal web curator Tore Scuro per il Crest, dal 14 marzo al 18 maggio 2020, in un momento storico obiettivamente non facile (pandemia Covid-19)

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«Fratellina», Scimone e Sframeli portano Pinter sui letti a castello

Sabato 5 aprile per la stagione «Periferie» del Crest al TaTÀ di Taranto

I due artisti siciliani in scena con lo spettacolo vincitore delle Maschere del Teatro

Finzione e realtà, distanza e vicinanza, separazione e bisogno di prossimità. Sono i temi al centro dello spettacolo «Fratellina», vincitore del premio Le Maschere del Teatro 2023 quale «migliore novità italiana» e ultima creazione della premiata ditta teatrale fondata da Spiro Scimone e Francesco Sframeli, attesi all’auditorium TaTÀ di Taranto sabato 5 aprile, alle ore 21, per chiudere la stagione «Periferie» della compagnia Crest sostenuta dalla Regione Puglia. Scritto da Scimone e diretto da Sframeli, e da entrambi interpretato in un dialogo serrato con Gianluca Cesale e Giulia Weber con l’allestimento di Lino Fiorito (due letti a castello che sono casa e gabbia delle coppie di personaggi), «Fratellina» è una partita di doppio misto sulle sabbie mobili dell’esistenza, giocata tra quattro figurine umane, Nic e Nac, Fratellino e Sorellina, che si guardano allo specchio per raccontare una realtà che sta capitolando davanti ai nostri occhi, sotto i colpi drammatici di questi tempi che sembrano aver completamente dimenticato i veri valori dell’umanità.

Temi cari a Scimone e Sframeli, che vengono dalla Sicilia di Pirandello, ma le finzioni della nostra esistenza le hanno filtrate attraverso gli stranianti paradossi dell’uomo moderno di Samuel Beckett, meritandosi una lunga serie di premi Ubu e persino rappresentazioni al Théâtre du Vieux-Colombier di Parigi allestite dalla Comédie Française, oltre che allestimenti in tutto il mondo, dall’Europa al Canada sino al Sud America, con i testi tradotti in francese, inglese, tedesco e spagnolo, ma anche in greco, portoghese, norvegese, croato, sloveno e danese.

Crasi tra fratellino e sorellina, «Fratellina» si propone sin dal titolo di rompere qualsiasi schema, partendo proprio dal superamento dell’identità di genere con un titolo molto teatrale fatto di una sola parola, com’era già avvenuto per «Nunzio», «Bar», «Pali» e altri spettacoli precedenti di Scimone e Sframeli, che hanno immaginato questo spettacolo in una scena scarna, sormontata da una luna di cartone, dove trova spazio soltanto un armadio. Qui i quattro protagonisti si osservano da due letti a castello commentando le cose e le occasioni del mondo. Nic e Nac, al loro risveglio, desiderano vivere in una nuova realtà dove tutte le cose dimenticate si possono di nuovo ritrovare. E grazie all’incontro di Fratellino e Sorellina, tra ilarità e paradosso, denuncia e sconforto, trovano sorriso e ironia per superare stati d’ansia e sofferenza in un’atmosfera lieve e giocosa d’impronta beckettiana, per l’appunto.

Con il suo testo tenero e feroce, fatto di attese, ironie e silenzi, «Fratellina» si presenta come un’opera giocosa sul filo di una musicalità traboccante dai dialoghi tra i quattro personaggi fatti di parole capaci di interrogare con una pienezza e concretezza pirandelliana, per dirla con le parole di Jean-Paul Manganaro, cui Scimone e Sframeli hanno affidato la presentazione dello spettacolo. Ma in «Fratellina» c’è anche «la capacità di tenersi alla larga da ogni forma tendente, anche criticamente, a prendere le mosse da atteggiamenti realistici» per affidarsi «alla grande forza di convincimento che è il non-senso», cifra stilistica del duo Scimone-Sframeli, capaci di «fare immanenza poetica con alcune, poche, scelte, immagini e parole di ogni istante del reale».

Tra l’altro, «Fratellina» ha suggellato i trent’anni di attività artistica della compagnia, fondata da Scimone e Sframeli nel 1994, anno del debutto con «Nunzio», spettacolo in lingua messinese diretto da Carlo Cecchi che ha poi ispirato il film Due amici (2002), vincitore del Leone d’oro come migliore opera prima alla 59esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Una tappa decisiva del percorso artistico di una compagnia oggi tra le più rappresentative del teatro contemporaneo, cinque volte vincitrice del Premio Ubu e che porta in scena principalmente testi originali, scritti osservando il quotidiano, che Simone e Sframeli fondono con poesia, comicità e grottesco mantenendo sempre una cifra stilistica innovativa e riconoscibile.

Dopo lo spettacolo gli artisti incontreranno il pubblico nel consueto spazio-intervista condotto nel foyer dalla giornalista Marina Luzzi.

Immagini video al link: https://www.youtube.com/watch?v=IyNYCVhJVJA&t=18s

Info e prenotazioni 333.2694897. Biglietti acquistabili anche online su Vivaticket.

addetto stampa
Francesco Mazzotta
328.6296956

  

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«Favole al telefono», spazio alla fantasia di Gianni Rodari

Domenica 30 marzo per «Favole & Tamburi» del Crest al TatÀ di Taranto

Lo spettacolo della compagnia Fantacadabra celebra lo scrittore dell’infanzia

La rassegna per famiglie «Favole & Tamburi» della compagnia Crest sostenuta dalla Regione Puglia, si chiude domenica 30 marzo (ore 18), nell’auditorium TaTÀ di Taranto, con lo spettacolo della cooperativa Fantacadabra «Favole al telefono» che prende spunto dall’omonimo libro per l’infanzia di Gianni Rodari pubblicato da Einaudi nel 1962. Il lavoro, firmato alla drammaturgia e alla regia da Mario Fracassi, è infatti pensato come un viaggio nell’universo creativo dello scrittore, al quale daranno vita in scena Laura Tiberi, Santo Cicco e Roberto Mascioletti con i pupazzi di Wally Di Luzio (costumi di Antonella Di Camillo).

Dunque, seguendo il percorso tracciato nell’opera poetica e narrativa di Rodari e utilizzando le più svariate tecniche dell’invenzione, «Favole al telefono» si sviluppa come un grande gioco per interpretare, inventare, sbagliare e rifare le storie: quelle già esistenti e quelle ancora da scoprire, perché si può trovare una favola dentro ogni cosa. Per cui, proprio nell’ottica rodariana, lo spettacolo vuole rappresentare l’occasione per uno sguardo amorevole, ironico e di alto senso morale su ogni umanità, portato attraverso gli occhi del protagonista, il piccolo Gianni, vale a dire lo stesso Rodari immaginato durante gli anni della propria infanzia, visto come un bambino dotato di poteri straordinari, attraverso i quali riempire le proprie giornate di suoni, parole, immagini e luci colorate. Così, partendo da una soffitta, luogo di incontro tra tre ragazzi, «Favole al telefono» si presenta come un viaggio immaginario attraverso il quale raccontare come sia possibile costruire e inventare storie seguendo itinerari fantastici, proprio come faceva Rodari, del quale vengono ripercorse alcune celebri favole sfiorandone con delicatezza i personaggi.

E queste tante piccole storie che si rincorrono sulla scena, dentro e fuori poetici spazi, sono in grado di catturare non solo gli spettatori più piccoli, ma anche gli adulti. Perché le invenzioni di Rodari non conoscono età e il passare del tempo. Sono storie che conservano immutate eleganza, ironia e freschezza, da sempre i punti di forza dell’inesauribile capacità creativa di questo grande autore, capace di coniugare l’invenzione con una puntuale, seria e civile osservazione della realtà contemporanea. Storie che tornano a prendere vita sulla scena in un carosello teatrale e musicale sotto forma di canzoni, racconti e filastrocche, per un viaggio fantastico dentro mondi alternativi e ricchi di spunti, pensati per esaltare la libertà e la fantasia parte del Dna di ciascuno di noi. Per cui il vero protagonista dello spettacolo sarà il gioco, inteso come punto d’incontro tra realtà e immaginazione, dimensioni attraverso le quali toccare anche temi seri con lo strumento della leggerezza e, infine, giungere alla conoscenza con la grammatica della fantasia.

Inizio spettacolo ore 18.
Biglietti 7 euro (6 euro per nuclei familiari di almeno quattro persone).
Info e prenotazioni 333.2694897.

addetto stampa
Francesco Mazzotta
328.6296956

  

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Elegia per Falcone e Borsellino, Serata speciale contro le mafie

Sabato 29 marzo per la stagione «Periferie» del Crest al TaTÀ di Taranto

In scena alle ore 21 «Nel tempo che ci resta» di César Brie, che alle ore 19 dialoga nel foyer con Remo Pezzuto (Libera) e Alessandra Romano (Anm)

Serata speciale a Taranto in ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e di tutte le lotte contro le mafie. Sabato 29 marzo, nell’auditorium TaTÀ, per la stagione «Periferie» della compagnia Crest sostenuta dalla Regione Puglia, alle ore 21 andrà in scena l’elegia per Falcone e Borsellino «Nel tempo che ci resta» di César Brie, l’attore, regista e drammaturgo argentino e maestro del teatro contemporaneo fondatore nella Milano degli anni Settanta del collettivo teatrale Tupac Amaru e in seguito protagonista dell’avventura civile e culturale della Comuna Baires. A pochi giorni dalla «Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie», la rappresentazione di «Nel tempo che ci resta» sarà preceduta alle ore 19 dall’incontro a più voci «Raccontare il bene» al quale daranno vita, con lo stesso César Brie, il referente provinciale di Libera, Remo Pezzuto, e la presidente della sezione tarantina dell’Associazione nazionale magistrati, Rita Alessandra Romano, in un dialogo coordinato dal giornalista del Nuovo Quotidiano di Puglia, Mario Diliberto.

Prodotto da Campo Teatrale e dal Teatro dell’Elfo e interpretato dallo stesso César Brie con Marco Colombo Bolla, Elena D’Agnolo, Rossella Guidotti e Donato Nubile, lo spettacolo «Nel tempo che ci resta» è il frutto di una ricerca durata più di due anni, attraverso la quale viene portata in scena, con un uso costante della metafora e dell’analogia, la strategia criminale che Cosa Nostra mise in atto nella famigerata estate del 1992, l’anno delle stragi di Capaci e via d’Amelio, quando il tritolo dilaniò i corpi di tre magistrati e delle loro scorte.

Dalle loro biografie emerge la storia della mafia siciliana dal dopoguerra fino agli anni Novanta e la denuncia dell’intreccio tra criminalità organizzata, affari, politica, servizi segreti deviati nel segno di quel lavoro di impegno civile e di inchiesta che César Brie aveva condotto con «Il cielo degli altri», «Otra vez Marcelo», «Albero senza ombra», «Viva l’Italia», «Prima della bomba», «L’avvoltoio» e altri lavori e ricerche.

Allontanandosi dall’idea di creare un documentario teatrale, «Nel tempo che ci resta» si presenta come un’elegia, un atto d’amore e di gratitudine nei confronti di chi ha dedicato e oggi continua a dedicare la sua vita alla collettività e a una concreta testimonianza di coerenza, etica e giustizia. Ma nel racconto della tragedia che ha segnato le vite dei due magistrati e delle loro famiglie, Brie non dimentica i momenti di luce, gioia e ironia: l’amore di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, di Paolo Borsellino e Agnese Piraino Leto, gli scherzi tra i due amici magistrati, la serenità della loro infanzia.

La storia è ambientata in un cantiere abbandonato a Villagrazia, il luogo dal quale partì Paolo Borsellino per andare incontro alla morte. In questo cantiere un uomo fa rotolare per terra delle arance, il cui profumo toglie dalle ombre quattro figure, che appaiono all’improvviso dalle lamiere. L’uomo delle arance è Tommaso Buscetta, il pentito di mafia, le anime sono quelle di Giovanni, Francesca, Paolo e sua di moglie Agnese, l’ultima ad essersene andata, dopo aver cercato inutilmente la verità per vent’anni. Prima di lei se n’era andato il pentito che aveva fornito le chiavi a Giovanni e Paolo per capire la mafia dall’interno. Dieci anni prima della sua uscita di scena, nell’arco di due mesi, in quella sciagurata estate del 92, erano stati uccisi Giovanni e Francesca, e poi Paolo. E ora si ritrovano da morti, in un cantiere abbandonato, tra resti di macerie e lo sfondo del mare, per raccontarsi e raccontarci cos’è successo prima e cos’è accaduto dopo. Perché i morti non serbano rancore, ricordano con precisione, intrecciano fatti, accadimenti, segnali, indizi. E loro avevano visto e previsto tutto, anche la cattiveria e il tradimento.

«Il nostro scopo – spiega Brie – non era realizzare un documento, ma costruire un fatto artistico dove verità, poesia, rigore e indagine possano unirsi. Per cui, questo spettacolo non è la biografia di Falcone e Borsellino ma un omaggio, un monumento a questi due uomini e all’ex uomo d’onore che li accompagna, li ama, e come noi viene sedotto dalla loro caparbietà, intelligenza, onestà e purezza».

La lotta alla mafia e le vittime, i tradimenti e i pensieri, le vicende personali e pubbliche, la trattativa e l’isolamento, le menzogne, il senso di dovere e l’amore si intrecciano in questa ricostruzione di ciò che è accaduto e di ciò che continuerà ad accadere. Ed è l’amore che viene fuori da questa scena, malconcio, pieno di polvere e detriti, mentre i morti ricompongono la mappa devastata di un Paese che amavano ma che non accettavano. E che proprio per questo avevano cercato di cambiare.

Dopo lo spettacolo gli artisti incontreranno il pubblico nel consueto spazio-intervista condotto nel foyer dalla giornalista Marina Luzzi.

Immagini video al link: https://www.youtube.com/watch?v=th9jFBcrrmg

[scheda artistica]

Info e prenotazioni 333.2694897. Biglietti acquistabili anche online su Vivaticket.

addetto stampa
Francesco Mazzotta
328.6296956

  

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